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      Spesso i vostri avi compassionando la plebe, con leggi sollevarono la sua povertà: e ultimamente a memoria nostra, stante l'immensità dei debiti, acconsentirono tutti i buoni cittadini che se ne pagasse la quarta parte soltanto. Spesso la plebe medesima, o per amor di dominio, o per non patire superbi comandi, si armò e segregossi dai patrizj. Noi, nè dominio vogliamo, nè ricchezze; vive cagioni d'ogni discordia e guerra fra gli uomini: bensì libertà vogliam noi, che ai buoni non mai se non con la vita si toglie. Te scongiuriamo e il Senato, che a noi cittadini infelici, provveggasi; che la legge per iniquità del Pretore sottratta restituiscasi; e che noi non mettiate nella dura necessità d'intraprendere, prima di perire noi stessi, una qualche memorabil vendetta della nostra uccisione."
     
     
      XXXIV.
     
      Quinto Marcio rispose loro: che quanto dal Senato chiedevano, deposte l'armi, a Roma supplichevoli andassero per ottenerlo: i Padri ed il popolo sempre essere stati così pietosi e benigni da non mai essere invano richiesti. Catilina intanto, nell'avviarsi al campo, a molti consolari, e ad ogni ottimate scriveva: essere egli oppresso dalla calunnia; non poter resistere alla potenza dei nemici; costretto a cedere al destino suo, volersi egli confinare in Marsiglia, non per rimorsi, ma perchè dalla di lui resistenza tumulti non nascessero e torbidi nella repubblica. Ma molto diversamente scriveva a Quinto Catulo, che lesse in Senato le seguenti sue lettere.
     
     
      XXXV.
     
      Lucio Catilina a Quinto Catulo salute.


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C. Crispo Sallustio tradotto da Vittorio Alfieri
di Gaius Sallustius Crispus
1807 pagine 161

   





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