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      Non dei tributi, o delle ingiurie degli alleati, si tratta qui della libertą e vita nostra, in pericolo entrambe. Spesso, o Padri Coscritti, perorando io qui contro il lusso e l'avarizia dei cittadini nostri, molti di essi m'inimicava, e certo, io che a' miei proprj difetti non l'avrei perdonata, difficilmente gli altrui compativa. Ma, benchč del mio dire non si tenesse gran conto, la repubblica pure, bene ancor radicata, con valide forze ogni trascuraggine compensava. Ora, pur troppo, non si tratta se costumati o scostumati vivremo, nč quanto e quale terremo l'impero; ma se queste cose, quali ch'elle siano, a noi rimarranno, o insieme con noi stessi ai nemici. Risuonar mi si fanno qui forse i nomi di pietą e di clemenza? Gran tempo č gią che fra noi i nomi pur anche delle cose son guasti: chiamasi il prodigare l'altrui, liberalitą; l'osare ogni scelleratezza, coraggio: a tali estremi č Roma ridotta. Sian dunque costoro, poichč cosģ vogliono i tempi, liberali colle ricchezze degli alleati; pietosi siano de' ladri del pubblico, ma il sangue nostro risparmino; e per pochi scellerati salvare, i buoni tutti non perdano. Bene ed ornatamente Cajo Cesare or dianzi fra noi del vivere e del morir ragionava; come quegli che poca fede alla volgare opinione prestando, l'Inferno, le sue diverse sedi, grotte, deserti, ed orrori, deride. Egli opinava pertanto che i rei, confiscati i lor beni, si custodissero nei presidj: temendo forse che in Roma, o dai congiurati o dalla prezzolata plebe venissero a viva forza liberati.


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C. Crispo Sallustio tradotto da Vittorio Alfieri
di Gaius Sallustius Crispus
1807 pagine 161

   





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