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      Fratello dell'anima mia, benchè un tradimento a te abbia immaturamente troncata la vita, più avventurato che infelice ti reputo. Che tu, non il regno, l'esiglio bensì e l'indigenza, e quanti infortunj me opprimono, insieme con la tua vita perdevi: ma io, infelice, precipitato dal soglio paterno; io, dolorosa mostra delle umane vicende, incerto men vivo, se, abbisognoso io stesso d'ajuto, vendicare pur debba i tuoi torti, ovvero il mio regno ripetere: talmente il vivere e il morir mio nell'altrui potestà son riposti. Così fosse pure onorato fine de' miei tragici casi la morte! o non mi si ascrivesse ad infamia la vita, ov'io fra terribili angustie dissimulando gli oltraggi, acconsentissi pur di serbarla! Ma, oramai a tale veggendomi, che il viver mi aggrava, e mi sarebbe il morire vergogna; per voi, o Padri Coscritti, scongiurovi, pe' figli vostri e congiunti, per la maestà in somma del popol Romano, me soccorrete, me vendicate; nè tollerato venga da voi, che con la scelleratissima strage della stirpe di Massinissa, la Numidia, ch'è vostra, sovvertasi."
     
     
      XV.
     
      Taciutosi il Re, i Legati di Giugurta più nei doni che nelle loro ragioni affidati, brevemente rispondevano: Jemsale essere stato ucciso dai Numidi, come tiranno; Aderbale, aggressor egli primo e sconfitto, dolersi or soltanto del non aver potuto nuocere egli stesso a Giugurta; il quale pregava il Senato di non crederlo diverso da quel Giugurta in Numanzia mostratosi; di non anteporre alle di lui imprese ben note, le parole di un suo espresso nemico.


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C. Crispo Sallustio tradotto da Vittorio Alfieri
di Gaius Sallustius Crispus
1807 pagine 161

   





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