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      Per necessitą egli dunque si appiglia al partito che pareagli migliore. Al grosso dell'esercito impone che in un dato luogo lo aspetti: egli con l'eletta de' cavalli si pone frattanto ad incalzare Metello. Di notte, per traviati sentieri, non sospettandone i Romani, repentinamente ne assalta uno stuolo. Sovrappresi questi in disordine, i pił cadono inermi; molti ne son presi, nessuno interamente illeso ne scampa: ed i Numidi, prima che giungesse ai Romani soccorso dal campo, gią s'erano, secondo l'avuto comando, ritratti nei prossimi colli.
     
     
      LV.
     
      Roma intanto festeggiava altamente le vittorie di Metello: lui celebravano tutti, come quello che sč e l'esercito suo governava all'antica; che gli ostacoli del luogo saputi avea superar col valore; impadronirsi del campo nemico; e Giugurta, cui la imperizia d'Aulo innalzava, costringere a procacciarsi colla fuga ne' boschi salvezza. Per questi felici avvenimenti decretava dunque il Senato ringraziamenti agli Dei: Roma, poc'anzi dubbia e sollecita dell'esito della guerra, tornavasi lieta: in luminosissima fama saliva Metello. Egli pertanto vieppił indefessamente ad allargar la vittoria in ogni modo affrettavasi; ma badando pur sempre a non dar campo al nemico di nuocergli; memore, che alla gloria tien dietro l'invidia. Quanto pił celebre, tanto quindi pił cauto e dubbioso, dopo le insidie di Giugurta pił non permetteva ai soldati di sbandarsi a predare: se di grano abbisognava o di strame, le coorti afforzate da tutta la cavalleria faceano la scorta: dell'esercito conduceva egli stesso una parte; Mario il rimanente: e pił a fuoco che a sacco mandavano il paese nemico.


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C. Crispo Sallustio tradotto da Vittorio Alfieri
di Gaius Sallustius Crispus
1807 pagine 161

   





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