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      Consigliatisi adunque i due traditori, fissarono il giorno del tradimento; riserbandosi, quanto al modo, di adattarsi all'opportunità. Nabdálsa raggiunge quella parte d'esercito dal Re affidatagli, perchè i Romani dai lor quartieri d'inverno impunemente il paese non devastassero. Ma, riflettendo egli poi all'impresa, e dall'importanza di essa atterrito, mancò all'appuntamento; sospendendo per timore l'esecuzione. Bomilcare, desideroso di compierla, ed anco temendo che il compagno per viltà si cangiasse, scrissegli per via di messo fedele: "Che effeminato già e infingardo, badasse egli ora a non essere spergiuro; a non far tornare i premj di Metello in lor propria rovina. Giugurta dover per certo soccombere; dubbio rimanere soltanto, se ad essi, ovvero al valor di Metello. Ben rivolgesse in se stesso, se più lo allettassero i premj, o se più lo atterrissero i tormenti."
     
     
      LXXI.
     
      Giunse a Nabdálsa tal lettera, mentr'egli per la durata fatica posava. Lette le parole di Bomilcare, entrò in gran pensiero da prima; quindi, (non rara cosa nei travagliati animi) il sonno assalivalo. Avea costui un Numida fedele ed accetto, in ogni impresa a lui consigliero e compagno, e d'ogni suo affare, fuorchè del presente tradimento, partecipe. Questo Numida, udendo esser giunte lettere a Nabdálsa, e credutosi, come solea, necessario, entrò nella tenda. Trovatolo dormire, il foglio casualmente lasciato sul guanciale del letto prese, e lesse. Scoperto così il tradimento, a tutta briglia corre costui a Giugurta.


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C. Crispo Sallustio tradotto da Vittorio Alfieri
di Gaius Sallustius Crispus
1807 pagine 161

   





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