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      Che se a buon dritto i nobili dispregiano me, dispregino dunque pur anche i lor avi, che nella virtù, siccom'io, nobilitarono il sangue. L'onore m'invidiano del consolato? or, perchè non la fatica, e la integrità, e i pericoli, per cui acquistarmelo seppi? Corrotti, superbi; così vivon essi, come se gli onor vostri a vile tenessero; così li richiedono, come se rettamente vivessero. Ahi stolti, che cose pur tanto disgiunte riunire vorrebbero! infingardía, e guiderdoni; voluttuosa vita, e virtù. E spesso appo voi, o nel Senato, arringando, non rifinano essi giammai di favellar d'antenati; le cui altissime imprese commemorando, infaman se stessi, credendo illustrarsi. Che quanto più splende di quelli il valore, tanto più sozza riesce la dappocaggin di questi. Tanta è la luce, che dalle avite glorie riflette su i posteri, che buoni e cattivi manifesta ella ugualmente. Io, benchè scarso di sì nobili vanti, minore perciò me non reputo, poichè pure, o Romani, a me lice nominarvi me stesso. Vedete, se ingiusti costoro: delle altrui virtù si rivestono; e della mia dispogliar me vorrebbero: vil plebeo, che non imagini ostento, nè antica nobiltà; ma, meglio è per certo, la nobiltade, crearsela; che, ricevuta, contaminarla. E non ignoro pur io, che volendo costoro rispondere a me, facondia, eleganza, lisciata dicitura, non mancano loro. Ma in ogni trivio maligni sparlando essi e di Mario, e di voi, che con sì caldo favor lo eleggeste, dissimular non mi piacque; perchè ascrivere mi si potea la modestia a non intatta coscienza.


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C. Crispo Sallustio tradotto da Vittorio Alfieri
di Gaius Sallustius Crispus
1807 pagine 161

   





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