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      I brandi, se li portavano appesi da tergo; come pure gli scudi, fatti alla Numida di cuojo; sia perchè così più leggieri, sia perchè urtando ne' sassi tintinnissero meno. Precedeva il Ligure a tutti: ove macigni o vetusti tronconi in fuori sporgenti occorrevangli, a quelli accomandava delle funi, per agevolare ai seguaci la strada. Spesso i più scoraggiti dall'asprezza del calle andava con la mano ajutando egli stesso; dov'era il salire più scabro, tutti disarmati spedivali innanzi, seguendo egli poi con l'incarco dell'armi; dove impossibile a primo aspetto il varco pareva, animosamente egli primo spingevasi: e salendo, e scendendo, e rilasciando poi libero agli altri il già vinto passo, in tutti addoppiava l'ardire. Con lunga e grave fatica finalmente pervennero al castello, da quella parte sguernito come negli altri giorni, per cagione dell'opposto assalto. Mario, avuta notizia che giunti erano su la cima, benchè già tutto il dì avesse travagliato i Numidi, allora vieppiù esortati i suoi, uscì dalle trincee; tentando, sotto alla testuggine, secondato alla lontana dalle macchine, dagli arcieri, e dai frombolieri, di far breccia e salirvi con quei che il seguivano. Gli assediati, che già più volte aveano guastati od incesi i graticci de' Romani, non dietro le mura, ma dì e notte sovr'esse si stavano; ingiuriandoli, tacciando Mario di stolto, il nostro esercito intiero minacciando di ceppi e catene; insuperbiti in somma e feroci, dalla prosperità. In tal modo e Romani e Numidi aspramente pugnando, quelli per la gloria e il dominio, questi per la loro salvezza; di repente gli assaliti si sentono il nemico alle spalle.


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C. Crispo Sallustio tradotto da Vittorio Alfieri
di Gaius Sallustius Crispus
1807 pagine 161

   





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