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      «Contradissi et ottenni»(230).
      E non era la prima volta che perorasse in Senato pel mantenimento delle mude di Fiandra «tanto utili alla Repubblica e tanto care ai re d’Inghilterra e di Spagna. Sono stà contento, di essere entrà quest’anno in Pregadi, per poter ascender questa renga quando sento qualche opinion contraria al bene, a l’utile et a l’honor di questo Stado»(231).
      Ma pur troppo a tanto zelo, male corrispondeva la fiducia che gli dimostravano i colleghi, ed egli forte se ne rammaricava.
      Nel marzo 1517 concorse alla dignità di Savio grande, ma per la strana condotta dei suoi stessi parenti e particolarmente di suo cugino Marino Sanuto di Francesco, che volea riuscir lui, non fu eletto. Pur si mostrò contento dei voti avuti(232): 104, contro 161 e 140 che ebbero i due eletti Alvise Gradenigo e Filippo Bernardo(233).
      «Et perché io non fasso le pratiche si fa al presente, né cene alli Quaranta e altri de Pregadi, né conventicule come si usa far, altri riman et più zoveni assà de mi. Pacienza! Forsitan et haec olim meminisse juvabit. Tutti gli amici di quelli sono stà nominati, et loro instessi, et li emuli miei et inimici, dubitando io non entri, non mi hanno volesto, con dir: l’altra fiata ave 104, hora ha fato bona rengha et potrà aver balote di più: et tutti mi è stà contra de mi, e Dio li perdoni e li renda quello se meritano»(234). E poi, ex debito conscientiae, scrive, di aver tenuto un discorso nel Maggior Consiglio il 13 settembre, contro coloro che intricavano e pregavano per ottenere i pubblici incarichi, sostenendo doversi tornare all’antico costume di eleggere sempre i migliori, con pena a chi rifiutasse.


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I Diarii
di Marino Sanuto
Editore Visentini Venezia
1898 pagine 165

   





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