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      Ispedito il dispaccio in Spagna, il dí seguente scrisse et espedí all'imperatore un altro breve senza far menzione del primo; dove in sostanza diceva che egli era stato costretto, per mantenere la libertà d'Italia e soccorrere ai pericoli della Sede apostolica, venir alle deliberazioni che non si potevano tralasciare senza mancar all'ufficio di buon pontefice e di giusto prencipe, alle quali se la Maestà Sua vorrà porger il rimedio a lei facile, utile e glorioso, la cristianità sarà liberata da gran pericolo, di che gli darà piú ampio conto il suo noncio appresso lui residente; che la pregava per la misericordia di Dio d'ascoltarlo e proveder alla salute publica e contener tra i termini del giusto le voglie sfrenate et ingiuriose de' suoi, acciò gli altri possino restar sicuri de' beni e della vita propria. Sotto queste ultime parole comprendeva il pontefice principalmente Pompeio cardinale Colonna, Vespasiano et Ascanio, con altri di quella famiglia seguaci delle parti imperiali et aiutati dal vicerè di Napoli, da quali riceveva quotidianamente varie opposizioni a' suoi pensieri. E quello che nel animo suo faceva impressione maggiore, temeva anco che non gli mettessero in difficoltà il pontificato. Imperò che il cardinal sudetto, uomo ardito e fastuoso, non si conteneva di parlar publicamente di lui come di asceso al pontificato per vie illegitime e, magnificando le cose operate dalla casa Colonna contra altri pontefici (come egli diceva) intrusi et illegitimi, aggiongeva esser fatale a quella famiglia l'odio de' pontefici tiranni et ad essi l'esser ripressi dalla virtú di quella, e minacciava di concilio, facendo ufficio con tutti i ministri imperiali per indur l'imperatore a congregarlo.


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Istoria del Concilio Tridentino
di Paolo Sarpi
pagine 1561

   





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