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      Questa esser la sua virtú, che a chi l'ascolta dona la vita, a chi lo ripudia è causa di maggiore dannazione. Aggionse che questo era il piú universale difetto de' romani: voler stabilir la Chiesa con governi tratti da ragioni umane, come se fosse uno stato temporale. Che questa era quella sorte di sapienza che san Paolo dice esser riputata pazzia appresso Dio, sí come il non stimare quelle raggioni politiche con che Roma governa, ma fidarsi nelle promesse divine e rimettere alla Maestà sua la condotta degli affari della Chiesa, è quella pazzia umana che è sapienza divina. Il far riuscir in bene e profitto della Chiesa il concilio non essere potestà di Martino, ma di chi lo può lasciare libero, acciò che lo spirito di Dio vi preseda e lo guidi, e la Scrittura divina sia regola delle deliberazioni, cessando di portarvi interessi, usurpazioni et artificii umani: il che, quando avvenisse, egli ancora vi apportarebbe ogni sincerità e carità cristiana, non per obligarsi il pontefice, né altri, ma per servizio di Cristo, pace e libertà della Chiesa. Non poter però aver speranza di veder un tanto ben, mentre non aparisce che lo sdegno di Dio sia pacificato per una seria conversione dell'ipocrisia; né potersi far fondamento sopra la radunanza di uomini dotti e letterati, poiché, essendo accesa l'ira de Dio, non vi è errore cosí assordo et irragionevole che Satan non persuada, e piú a questi gran savii che si tengono sapere, i quali la Maestà divina vuol confondere. Che da Roma non può ricevere cosa alcuna compatibile col ministerio dell'Evangelio.


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Istoria del Concilio Tridentino
di Paolo Sarpi
pagine 1561

   





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