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      Publicò anco il papa un'altra bolla, per emendare (sí come diceva) la città di Roma, capo di tutta la cristianità, maestra della dottrina, di costumi e della disciplina, di tutti i vizii e mancamenti; acciò che purgata la casa propria, potesse piú facilmente purgare le altre; al che non potendo attendere solo pienamente, deputò sopra ciò i cardinali Ostiense, San Severino, Ginuzio e Simoneta, commandando sotto gravissime pene a tutti di prestar loro intiera obedienza. Questi cardinali insieme con alcuni prelati, pur dal papa deputati, si diedero immediate a trattare la riformazione della penitenziaria, della dataria e de' costumi de' corteggiani: però non fu posta cosa alcuna in effetto. Ma l'intimazione del concilio parve ad ogni mediocre ingegno molto poco opportuna in tempo quando tra l'imperatore et il re di Francia erano in piedi le guerre in Picardia, in Provenza et in Piemonte.
     
     
      [I protestanti non se ne contentano]
     
      I protestanti, veduta la bolla, scrissero a Cesare che non vedendosi qual dovesse essere la forma et il modo del concilio, che da loro era stato sempre domandato pio, libero et in Germania, e tale sempre promesso, si confidavano che Cesare averebbe proveduto sí che le loro dimande fussero sodisfatte e la sua promessa adempita.
      Ma nel principio dell'altro anno 1537 mandò Cesare Mattia Eldo, suo vicecancellario a' protestanti, ad essortargli a ricever il concilio, il qual con tanta sua fatica era stato convocato et al quale egli dissegnava trovarsi in persona, se non intervenisse qualche grand'impedimento di guerra, che lo constringesse esser altrove.


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Istoria del Concilio Tridentino
di Paolo Sarpi
pagine 1561

   





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