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      E considerando il papa non meno ad inviare il concilio che a' modi di dissolverlo quando fosse incomminciato, se il suo servizio avesse cosí ricercato, per provedersi a buon'ora, seguendo l'essempio di Martino V, il quale, temendo di quei incontri che avvennero a Giovanni XXIII in Costanza, mandando i noncii al concilio di Pavia, gli diede un particolar breve con autorità di prolongarlo, dissolverlo, trasferirlo dovunque fosse loro piacciuto, arcano per attraversare ogni deliberazione contraria a' rispetti di Roma. Pochi dí dopo fece un'altra bolla, dando facoltà a' legati di trasferire il concilio. Questa fu data sotto il 22 febraro dell'istesso anno, della quale dovendo di sotto parlare quando si dirà della translazione a Bologna, si deferirà sino allora quel tutto che sopra ciò si ha da dire.
     
     
      [I due legati giongono in Trento; giongono anco l'ambasciator cesareo e gli ambasciatori del re de' Romani]
     
     
      [A'] 13 marzo gionsero in Trento il cardinale del Monte et il cardinale Santa Croce, raccolti dal cardinal di Trento, fecero entrata publica in quel giorno e concessero tre anni et altre tante quarantene d'indulgenza a quelli che si ritrovarono presenti, se ben non avevano questa autorità dal papa, ma con speranza che egli ratificarebbe il fatto. Non trovarono prelato alcuno venuto, se ben il pontefice aveva fatto partire da Roma alcuni, acciò si ritrovassero là al tempo prefisso.
      La prima cosa che i legati fecero fu considerare la continenza della bolla delle facoltà dategli, e deliberarono tenerla occulta, et avvisarono a Roma che la condizione di procedere con consenso del concilio gli teneva troppo ligati e gli rendeva pari ad ogni minimo prelato, et averebbe difficoltato grandemente il governo, quando avesse bisognato communicare ogni particolare a tutti; aggiongendo anco che era un dare troppo libertà, anzi licenza alla moltitudine.


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Istoria del Concilio Tridentino
di Paolo Sarpi
pagine 1561

   





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