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      In fine si voltò a Cristo, pregandolo per l'intercessione di san Vigilio, tutelar della valle di Trento, ad assistere a quel concilio.
      L'ammonizione de' legati fu stimata pia, cristiana e modesta e degna de' cardinali; ma il sermone del vescovo fu giudicato molto differente; la vanità et ostentazione d'eloquenzia era notata da tutti: ma le persone intelligenti comparavano come sentenzia santa ad una empia quelle ingenue e verissime parole de' legati che, senza una buona recognizione interna, invano s'invocarebbe lo Spirito Santo, col detto del vescovo tutto contrario, che senza di quella anco sarebbe dallo Spirito Santo aperta la bocca, restando il cuore pieno di spirito cattivo. Era stimata arroganzia l'affirmare che errando quei pochi prelati, la Chiesa tutta dovesse fallare; quasi che altri concilii di 700 vescovi non abbiano errato, ricusando la Chiesa di ricevere la loro dottrina. Aggiongevano altri questo non esser conforme alla dottrina de' ponteficii, che non concedono infallibilità, se non al papa et al concilio per virtú della conferma papale. Ma l'avere comparato il concilio al caval di Troia, che fu machina insidiosa, era notato d'imprudenza e ripreso d'irreverenza. L'avere ritorto le parole della Scrittura, che Cristo e la dottrina sua, luce del Padre, è venuto al mondo e gli uomini hanno preferito le tenebre alla luce, facendo che il concilio o sua dottrina sia luce del papa aparsa al mondo, che se non fosse ricevuta, si dovesse dire: gli uomini hanno amato piú le tenebre che la luce, era stimata una biastema, e si desiderava almeno non fossero prese le parole formali della divina Scrittura per non mostrare cosí apertamente di vilipenderla.


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Istoria del Concilio Tridentino
di Paolo Sarpi
pagine 1561

   





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