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      A' legati, che non miravano se non di portar il tempo inanzi, piaceva sentire le difficoltà e studiosamente le nodrivano, dando destramente fomento ora all'uno, ora all'altro.
      Avvicinandosi il tempo prefisso per la sessione e non avendo ricevuto da Roma instruzzione, si ritrovarono i legati in molta perplessità. Il passare quella sessione in ceremonie come la precedente pareva un perder tutta la riputazione; il dar mano ad alcuna materia era giudicato cosa pericolosa, non avendo ancora prefisso il scopo dove mirare. Quello che pareva portare manco rischio era formar un decreto sopra la risoluzione presa nella congregazione di trattar insieme la materia della fede con quella della riforma: a che si opponeva che era un obligarsi et anco un determinare cosa quasi indecisa dal pontefice nella convocazione. In questa ambiguità era proposto che si passasse con un decreto dilatorio sotto pretesto che molti prelati erano in viaggio e s'aspettavano di corto. Il cardinale Polo messe in considerazione che, essendosi in tutti gli antichi concilii publicato un simbolo di fede, si dovesse in quella sessione fare l'istesso, publicando quello della Chiesa romana. Fu in fine deliberato di formar il decreto con titolo semplice et in quello fare menzione di dovere trattare della religione e della riforma, ma tanto in generale che si potesse accommodare ad ogni opportunità, e recitar il simbolo, e passarsela, facendo un altro decreto di rimettere le materie all'altra sessione, allegando per causa l'essere molti prelati in procinto et alcuni in viaggio; e per non essere ridotti piú in tal angustie allongar il termine della seguente il piú inanzi che si poteva, non differendola però dopo Pasca.


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Istoria del Concilio Tridentino
di Paolo Sarpi
pagine 1561

   





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