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      I politici ancora, se ben non debbono essaminar le cose della religione, ma seguirle semplicemente, trovarono che dire in questo decreto: vedendo nel capo 10 posta l'obligazione d'obedir a' precetti di Dio e della Chiesa, e l'istesso replicato nel canone 20, restavano con scandalo, perché non fossero anco poste l'obligazioni a' precetti de prencipi e magistrati; esser piú chiara assai nella Scrittura divina l'obedienza debita a questi: la legge vecchia esserne piena; nel Testamento Nuovo esser dottrina chiara, da Cristo proprio e da san Pietro e da san Paolo espressa e trattata al longo. Che quanto alla Chiesa, si trova obligo espresso di udirla, ma di ubedirla non è cosí chiaro: si obedisce chi commanda di suo, si ode chi promolga l'alieno. Né si sodisfacevano queste sorti d'uomini d'una scusa che era allegata, cioè i precetti de' prencipi esser inclusi in quelli di Dio, che per ciò si debbe a loro obedienza, per aver Dio commandato che siano obediti; perché replicavano per tal raggione maggiormente doversi tralasciare la Chiesa, ma che questa era espressa, e quelli trappassati con silenzio per l'antico scopo degli ecclesiastici d'introdur nel popolo quella perniziosa opinione che a loro si sia tenuto obedire per conscienza, ma a' prencipi e magistrati solo per evitare le pene temporali, e del rimanente potersi senza altro rispetto trasgredire li loro commandamenti, e per questa via metter in odio, representare per tirannico e sovvertir ogni governo, e depingendo la soggezzione a' preti per via unica e principale d'acquistar il cielo, tirar in sé prima tutta la giurisdizzione, e finalmente in consequenza tutto l'imperio.


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Istoria del Concilio Tridentino
di Paolo Sarpi
pagine 1561

   





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