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      Ma oltre di questo, attesa la promessa di continuare anco la materia della residenza, non si tralasciasse di trattarne qualche articolo de' piú principali. In questo non fu cosí facile convenire, avendo i legati co' loro aderenti fini contrarii agli altri vescovi.
      Questi erano entrati in speranza e miravano quasi tutti, ma i spagnuoli sopra gli altri, a racquistare l'autorità episcopale che anticamente s'essercitava da ciascuno nella diocese propria, quando erano incognite le reservazioni de' beneficii, de' casi o d'assoluzioni, le dispense et altre tal cose, le quali solevano dire in raggionamenti privati e fra poche persone che l'appetito di dominare e l'avarizia l'avevano fatte proprie alla corte romana sotto finto colore di maneggiarle meglio e piú con publico servizio di Dio e della Chiesa per tutta la cristianità, che i vescovi nelle città proprie, attesa qualche imperfezzione et ignoranza loro. Cosa però non vera, poiché non entrò nell'ordine episcopale dissoluzione, né ignoranzia, se non dopo che furono costretti andare per servitori a Roma. Ma quando bene s'avesse visto un mal governo allora ne' vescovi, che avesse costretto levargli l'autorità propria, ora che si vede pessimo nella corte romana, l'istessa raggione maggiormente costringere di levargli quel maneggio che non è proprio suo e da lei è sommamente abusato.
      Ottima medicina era stimata da questi prelati, per rimedio al mal passato e preservativo all'avvenire, il decreto che la residenza sia de iure divino. Perché se Dio ha commandato a' vescovi di risedere perpetuamente alla cura del gregge, per necessaria consequenzia gli ha prescritto anco il carico e dato loro la potestà per ben essercitarlo; adonque il papa non potrà né chiamargli, né occupargli in altro, né dispensargli, né restringere l'autorità data da Dio.


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Istoria del Concilio Tridentino
di Paolo Sarpi
pagine 1561

   





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