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      L'ambasciator secondando diceva che lodava ciò quanto alle cose che era necessario et opportuno dire; non vedersi opportunità di dire che a lui tocca d'indrizzar i concilii: queste cose esser verissime, ma la verità non aver questo privilegio d'esser detta in ogni tempo et in ogni luogo; esser ben tacerne alcuna, quando il dirla sia per far cattivo effetto; si ricordasse che per il duro parlar di Leone X e del cardinal Gaetano, suo legato, è acceso il fuogo che vede ardere, il quale con una dolce parola si poteva estinguere; che li seguenti pontefici, e massime Clemente e Paolo, prencipi savii, molte volte se n'erano doluti; se adesso con destri modi si può acquistar la Germania, perché con le amarezze separarla maggiormente?
      Il papa, quasi sdegnato, diceva che s'ha da predicar sempre apertamente et inculcare quello che Cristo ha insegnato, che Sua divina Maestà l'ha fatto suo vicario, capo della Chiesa e principal lucerna del mondo; che questa verità era di quelle che bisognava dire, che sempre bisognava aver in bocca, in ogni tempo et in ogni luogo, e secondo san Paolo opportunamente et importunamente; che il far altrimente sarebbe, contra il precetto di Cristo, porre sotto il staio la lucerna che si debbe alzar nel candeliero. Che non era dignità della Sede apostolica procedere con artificii e dissimulazioni, ma parlar all'aperta. L'ambasciator, cosí in dolcezza di raggionamento, disse anzi parergli che l'ascondere la sferza e mostrarsi benigno e condescendere a tutti era il vero ufficio apostolico, aver sentito legger in san Paolo che, essendo libero, si era fatto servo di tutti per guadagnar tutti: co' giudei, giudeo, co' gentili, gentile, co' deboli, debole, per guadagnare anco quelli, e che quella era la via di piantar l'Evangelio.


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Istoria del Concilio Tridentino
di Paolo Sarpi
pagine 1561

   





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