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      Il che fu causa di fargli metter in disputa se fosse lecito difendersi con le armi; nel che i loro ministri non erano d'accordo. Dicevano alcuni che non era lecito opponersi con le armi al suo prencipe, manco per difesa della vita propria, ma che portando via il suo aver che potevano, retirarsi ne' monti vicini. Altri dicevano che era lecito in tanta disperazione valersi della forza, massime che non si usava contra il prencipe, ma contra il papa che abusava dell'autorità del prencipe. Una gran parte d'essi seguí il primo parer, l'altra si mise su la difesa; laonde il duca, conoscendo che veramente non erano mossi da pensieri di ribellione e che instrutti sarebbe facil guadagnargli, ricevette il consilio datogli d'instituire a questo effetto un colloquio. Ma non volendo alienarsi il pontefice, giudicò necessario non far cosa senza di lui; mandò a dargli conto del tutto e chiederne il suo consenso.
      Il pontefice sentí molestia grande della dimanda, la qual altro non inferiva se non che in Italia e sotto gl'occhi suoi fosse posta in difficoltà e si dovesse metter in disputa l'autorità sua. Rispose che non era per consentir in modo alcuno, ma se quei popoli avevano bisogno d'instruzzione, egli manderebbe un legato con autorità d'assolver quelli che volessero convertirsi, accompagnato da teologi che gl'insegnassero la verità. Soggionse però che poca speranza aveva di conversione, perché gl'eretici sono pertinaci, e quello che si fa per essortargli a riconoscenza, interpretano che sia mancamento di forza per constringergli.


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Istoria del Concilio Tridentino
di Paolo Sarpi
pagine 1561

   





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