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      A che il pontefice mostratosi alterato, soggionse l'ambasciator che era utile guadagnar prima gl'animi de' prencipi di Germania; onde il papa piú alteratamente disse che non vi era tempo; e dicendo l'ambasciator che con questo moto dubitava non si incitassero gl'eretici contra l'Italia, il papa alzò la voce, dicendo che Dio non abandoneria la causa sua et egli saria aiutato co' prencipi catolici, che averebbe avuto gente e danari per difesa. Quello di Spagna lodò la mente di Sua Santità e disse che il suo re non averebbe mancato di favorirla, sí come per questo effetto aveva già mandato Antonio di Toledo in Francia. Offerirono parimente gl'ambasciatori di Portogallo, di Venezia e gl'altri il favore e l'assistenza de' suoi prencipi, et in fine il papa ordinò loro che scrivessero l'intenzione sua e gli licenziò.
      Ebbe poi risposta dal cardinale Tornon che, fatto ogni tentativo, non aveva potuto rimover il re, né alcuno del suo conseglio, né meno sperava che l'avvenire potesse portar congiontura megliore; anzi vedeva chiaro lo stato delle cose impeggiorare. Il re di Spagna ancora, mandata al papa la risposta finale fatta al Toledo, scrisse appresso che il re di Francia si scusava di non poter se non col concilio nazionale rimediare a' desordini del suo regno, al che è ubligato, e che non dovesse maravegliarsi se, per ovviare agl'inconvenienti, convengono i re far soli quello che doverebbe esser fatto in compagnia col papa: la qual lettera travagliò molto il pontefice, intendendo che volesse inferire di far il medesimo esso ancora in Fiandra.


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Istoria del Concilio Tridentino
di Paolo Sarpi
pagine 1561

   





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