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      Usò il papa diligenza che i vescovi d'Italia si mettessero in ponto; scrisse perciò efficaci lettere al vicerè di Napoli et al suo noncio in quel regno, et a Milano fece far officii da' suoi co' vescovi di quello Stato. Ricercò la republica di Venezia che facesse metter in viaggio i suoi d'Italia e che commandasse a quei di Dalmazia, Candia e Cipro d'inviarsi quanto prima, e creasse ambasciatori che per nome della republica intervenissero. Non si movevano però i prelati italiani con molta facilità, sapendo certo che non si poteva dar principio prima che venisse l'assenso dell'imperatore, che tuttavia s'allongava; aspettandosi spagnuoli e francesi, avevano per superfluo andar a Trento prima che quelli fossero gionti in Italia, e gran parte d'essi, i cortegiani massime, non potevano credere che le azzioni del papa non fossero simulazioni. Ma la verità era che il papa, certo di non poter fuggir il concilio, desiderava vederlo presto; diceva che era certo il male quale pativa per la prolongazione, et incerto di quello che potesse incontrare nel celebrarlo; che gl'inimici suoi e di quella Sede piú gli nocevano nell'aspettativa, che non avessero potuto nuocergli nella celebrazione. E come era di natura risoluta, era solito usar il proverbio latino: esser meglio una volta provar il male, che sempre temerlo.
     
     
      [Trattato del duca di Savoia co' suoi sudditi valdesi]
     
      Ma mentre queste dilazioni s'interpongono, si preparava una convenzione che il duca di Savoia fece co' valdesi delle valli del Moncenis.


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Istoria del Concilio Tridentino
di Paolo Sarpi
pagine 1561

   





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