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      Et essendo egli per tal causa fatto reo e chiamato in giudicio, confessato il fatto e temendo di qualche gran male, fuggí, et i giudici, come in una comedia, fecero che dal bidello dell'università fosse representata la sua persona e facesse l'emenda e retrattazione in publico, e proibirono che i teologi non potessero piú disputare simili questioni, e li fecero andar inanzi al re a dimandar perdono d'aver permesso che materia cosí importante fosse posta in disputa, con promessa d'opporsi sempre a quella dottrina. Si parlava de' francesi come d'eretici perduti e che negavano l'autorità data da Cristo a san Pietro di pascere tutto 'l suo gregge, di sciogliere ogni cosa e ligare, il che principalmente consiste in punire i delitti di scandalo e danno alla Chiesa in commune, senza differenza di prencipe, né privato; si portavano gl'essempii d'Enrico IV e V imperatori, di Federico I e II, di Ludovico Bavaro, di Filippo Augusto e del Bello, re di Francia; s'allegavano i celebri detti de' canonisti in questa materia; si diceva che doveva il pontefice citar tutto quel parlamento a Roma; che la conclusione di quel teologo doveva esser mandata a Trento, per metterla in essamine la prima cosa che si facesse, et approvarla, dannando la contraria. Il pontefice si dolse di questo successo moderatamente, e pensò che fosse meglio dissimulare, poiché, come diceva, il mal maggiore di Francia rendeva questo insensibile.
     
     
      [Il papa prefigge giorno all'apertura del concilio]
     
      Teneva per fermo la corte che al concilio non doveva trovarsi né ambasciator, né vescovi francesi, e discorreva quello che averebbe convenuto alla degnità ponteficia fare per sottomettergli per forza alle determinazioni del concilio, quale il papa era deliberato che fosse aperto onninamente al principio dell'anno nuovo; questa risoluzione communicò a' cardinali, essortandogli a considerar non esser degnità della Sede apostolica, né di quel collegio l'admetter di ricever regole e riforme da altri, e la condizione de' tempi, quando tutti gridano riforma, senza intender che cosa sia, ricercare che, attesa la speciosità del nome, non sia rifiutata; ottimo temperamento tra queste contrarietà di raggioni esser, prevenendo, il far la riforma di sé medesimo, il che anco servirà non solo a questa tanto, ma ancora ad acquistar lode coll'esser essempio agl'altri.


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Istoria del Concilio Tridentino
di Paolo Sarpi
pagine 1561

   





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