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      Questo diede occasione che nella congregazione seguente, dato principio a parlare sopra gl'articoli proposti, in poche parole si reintrò nella residenza; a che interponendosi il cardinale varmiense con dire che s'era parlato di quella materia assai, che s'averebbe formato il decreto per risolverla, e proposto quello, ogni uno averebbe potuto dir quello che gli restasse, né per questo si potero quietare gl'umori mossi. Onde l'arcivescovo di Praga, ambasciatore dell'imperatore, essortò i padri quasi con una orazione perpetua, a parlar quietamente e con manco passione, ammonendogli a risguardare il decoro delle loro persone e del luogo. Ma Giulio Superchio, vescovo di Caurle, rispose con alterazione nissuna cosa esser piú indecente al concilio, quanto che venga posta legge a' prelati, massime da chi rappresenta potestà secolare, e passò a qualche mordacità; e pareva che la congregazione fosse per dividersi in parti. Onde varmiense, che era il presidente in quella, cercato di moderar gl'animi, divertí il parlare sopra quei articoli per quel giorno e propose che si procurasse di far liberar i vescovi catolici preggioni in Inghilterra, acciò, venendo al concilio, vi fosse anco quella nobil nazione, e non paresse quel regno in tutto alienato dalla Chiesa: la proposta a tutti piacque, e fu commune opinione che si potesse piú desiderare che sperare. La conclusione fu che, avendo quella regina rifiutato di ricever un noncio espresso del pontefice, non si poteva sperare che prestasse orecchie al concilio; però quel piú che si poteva fare, era operar che i prencipi catolici facessero quell'ufficio.


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Istoria del Concilio Tridentino
di Paolo Sarpi
pagine 1561

   





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