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      Ma fra Antonio Mandolfo, teologo del vescovo di Praga, avendo prima affermato di sentir con gl'altri in questo, che non vi fosse precetto divino, avvertí che era cosí contrario alla dottrina catolica il dar a laici il calice per precetto divino, come il negarglielo parimente per precetto: però bisognava metter da canto tutte quelle raggioni che cosí concludevano, et insieme quelle de' discepoli in Emaus e di san Paolo in nave, poiché da quelle si concluderebbe che non fosse sacrilegio il consecrar una specie senza l'altra, che è contra tutti i dottori et il senso della Chiesa, e distrugge la distinzione portata dell'eucaristia, come sacramento e come sacrificio. Quella distinzione ancora della communione laica e clericale esser chiaro nell'ordinario romano che era diversità de luoghi nella chiesa, non di sacramento ricevuto; oltre che questa raggione concluderebbe che non i soli celebranti, ma tutto il clero avesse il calice. Dell'autorità della Chiesa in mutar le cose accidentali de' sacramenti non si poteva dubitare, ma non era tempo di metter adesso a campo se il calice sia accidentale o sostanziale; concludeva che questo articolo si poteva tralasciare, come già deciso dal concilio constanziense, e trattar accuratamente il quarto e quinto, perché, concedendo il calice a tante nazioni che lo ricercano, tutte le altre dispute sono superflue, anzi dannose. In questa medesima sentenza parlò anco fra Giovanni Paolo, teologo delle Cinquechiese, e furono mal uditi da tutti, tenendosi che parlassero contra la propria conscienza, ma questo ad instanza del suo patrone e quello per commissione auta dal suo, inanzi la partita.


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Istoria del Concilio Tridentino
di Paolo Sarpi
pagine 1561

   





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