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      Il cardinale Seripando si diede ad espor quel passo come se leggesse in catedra, e pareva che ognuno restasse sodisfatto; ma ritornò Granata a replicare con maggior veemenza, in fine ricchiedendo che se gli aggiongesse un'ampliativa, dicendo che per quelle parole non si poteva inferir la communione del calice, intese come si volesse, secondo varie esposizioni de' padri. Questa aggiunta ad alcuni padri non piaceva, ad altri non importava, ma pareva strano che dopo concluse le cose venisse uno con aggiunte non necessarie a turbare le cose stabilite, e furono 57 che dissero "non placet". Ma per venir al fine, li legati si contentarono che vi fosse aggiunta la clausula, che ben pare inserta con forza e nel latino incommincia: "utcumque iuxta varias".
      Nel secondo capo, che tratta dell'autorità della Chiesa sopra li sacramenti, venendosi ad un passo che ella aveva potuto mutare l'uso del calice con l'essempio della mutazione, della forma del battesmo, Giacomo Giberto, vescovo d'Alife, si levò, disse che era una biastema, che la forma del battesmo era immutabile, che mai fu mutata e che nell'essenzial de' sacramenti, che è la forma e la materia, non vi è alcuna autorità; sopra di che essendo fatte molte parole, pro e contra, in fine si risolvé di levar quella particola. Cosa lunga sarebbe narrare quante cose furono dette, da chi per metter impedimenti, da chi per non tacere, sentendo gl'altri a parlare. È naturale, quando una moltitudine è in moto, il fare a gara a chi piú si scossa, né mai si raccoglie un collegio di ottimati cosí scielto, che non si divida in personaggi e plebe.


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Istoria del Concilio Tridentino
di Paolo Sarpi
pagine 1561

   





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