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      Considerassero bene, perché, offerto un sacrificio propiziatorio, se quello è sufficiente per espiare, non se ne offerisce altro, se non forse per rendimento di grazie; e chi sostenta nella cena un sacrificio propiziatorio, conviene che confessi a viva forza che per quello siamo redenti e non per la morte; cosa contraria alla Scrittura e dottrina cristiana, che a quella ascrive la redenzione. E se alcun vorrà dire che sia tutt'uno, principiato nella cena e finito nella croce, dà in un altro inconveniente non minore, atteso che è contradizzione dire che il principio del sacrificio sia sacrificio, poiché, se dopo il principio cessasse, né andasse piú oltre, nissun direbbe che avesse sacrificato; e non si dirà che, se Cristo non fosse stato ubediente al Padre sino alla morte della croce, ma solo avesse fatto oblazione nella cena, noi fossimo redenti. Onde non si può dire che una tal oblazione si possi chiamar sacrificio, per esser principio di quello. Soggionse il vescovo che non voleva sostentar pertinacemente che quelle raggioni fossero insolubili, ma ben diceva non dover il concilio legar gl'intelletti di chi è persuaso d'una openione con tanta raggione. Passò poi anco a dire che, sí come non gli faceva difficoltà il nominar la messa sacrificio propiziatorio, cosí non si sodisfaceva che in modo alcuno se nominasse che Cristo offerisse, poiché bastava dire che commandò l'oblazione; perché, diceva egli, se la sinodo asserisce che Cristo offerí o fu il sacrificio propiziatorio, e cosí incorrerà nelle difficoltà suddette; overo non propiziatorio, e cosí da quello non si potrà concludere che la messa sia propiziatorio; anzi in contrario si dirà che, se l'oblazione di Cristo nella cena non fu propiziatoria, meno debbe esser quella del sacerdote nella messa.


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Istoria del Concilio Tridentino
di Paolo Sarpi
pagine 1561

   





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