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      Però soggionse che, parlando de' concilii, intendeva che vi fosse congionto il capo, e che nissuna cosa era di maggior servizio per l'unione della Chiesa che in fermar bene l'autorità ponteficia; che egli non averebbe mai consentito di terminar cosa che la potesse diminuire, e del medesimo parere erano tutti li prelati e clero di Francia. E tornando all'instituzione de' vescovi e parlandone tuttavia con la medesima ambiguità, finalmente concluse che era una questione interminata. Essortò poi la congregazione a tralasciarla, e diede esso una forma del canone, dove erano ommesse le parole iure divino, et in luogo di quelle si diceva: instituiti da Cristo.
      I prelati francesi che parlarono dopo Lorena in quel medesimo [giorno] e ne' seguenti ancora, non trattarono né con l'istessa ambiguità, né col medesimo rispetto all'autorità ponteficia, ma dissero apertamente che l'autorità de' vescovi fosse de iure divino, portando le raggioni dette dal cardinale et esplicandole; e se ben egli, mentre che parlavano, stava con la mano sotto la guancia, in modo che pareva che mostrasse sentir dispiacere di quello che dicevano, tuttavia però era ascritta ad ambizione, come se avesse studiosamente procurato che il voto suo fosse commentato. E se ben da' francesi fosse apertamente difesa la sentenza de' spagnuoli, questi però non restarono sodisfatti, cosí perché il cardinale aveva parlato con ambiguità, come anco perché esso e li prelati s'erano dicchiarati di non aver per necessario di terminar in concilio l'instituzione e superiorità de' vescovi esser de iure divino, anzi doversi tralasciare, e maggiormente per la formula dal cardinale proposta, dove era tralasciato, se ben per loro sodisfazzione, piú che per altro rispetto, erano poste le parole che sono instituiti da Cristo.


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Istoria del Concilio Tridentino
di Paolo Sarpi
pagine 1561

   





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