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      Diede ordine per corrier espresso in Francia al suo noncio di parlarne. A Lorena scrisse che non si potevano proponer in concilio quelle materie, senza contravenir alle promesse espresse fatte dal re per mezo di monsignor d'Auxerre. Si querelò in consistoro della impertinenza de' vescovi in Trento nell'allongar le materie per vanità. Essortò li cardinali a scriver agl'amici loro, et a' legati scrisse che adoperassero le minaccie e l'autorità, poiché le persuasioni non giovavano. Sopra gl'articoli dell'instituzione scrisse che il dire assolutamente l'instituzione de' vescovi esser de iure divino, era opinione falsa et erronea; perché la sola potestà dell'ordine era da Cristo, ma la giurisdizzione era dal romano pontefice, et in tanto si può dire da Cristo, perché la autorità ponteficia è dalla Maestà Sua e tutto quello che il papa fa, lo fa Cristo mediante lui. E scrisse per risoluzione che overo si tralasciassero assolutamente le parole de iure divino, overo si proponesse nella forma che egli mandava, nella quale si diceva Cristo aver instituito li vescovi da esser creati dal romano pontefice, con distribuzione di quale e quanta autorità pareva a lui, per beneficio della Chiesa, dargli, e con assoluta potestà di restringere et amplificare la data, secondo che da lui è giudicato. Scrisse appresso che nel particolare della residenza, essendo cosa chiara che il pontefice ha autorità di dispensare, fosse per ogni buona cautela riservata l'autorità sua nel decreto, nel quale non si poteva metter de iure divino, come aveva ben provato il Catarino, dal parer del quale, come catolico, non si dovessero partire.


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Istoria del Concilio Tridentino
di Paolo Sarpi
pagine 1561

   





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