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      La risposta del pontefice agl'ambasciatori fu che il decreto del "Proponentibus legatis" sarebbe interpretato in maniera che ogni uno potrà proponer quello che vorrà, e che egli a' legati ultimamente partiti aveva lasciato libertà di risolvere tutte le cose che occorressero in concilio, senza scriver cosa alcuna. Che la riforma era desiderata da lui, e ne aveva spesso fatto instanza, e se il mondo la volesse da Roma, già sarebbe fatta et anco esseguita; ma poiché la volevano da Trento, se non si effettuava, la causa non si doveva ascriver ad altri, se non alle difficoltà che si ritrovavano tra i padri. Che egli desiderava il fine del concilio e lo procurava e sollecitava, né di sospenderlo aveva pensiero alcuno. E che in conformità di questo, averebbe scritto a' legati, e scrisse anco con dire che il decreto "Proponentibus legatis" era fatto per levar la confusione, ma però esser volontà sua che non impedissero alcuno de' prelati a proponer quello che gli fosse parso, e che essi dovessero espedir le materie secondo li voti de' padri, senza aspettar altro ordine da Roma. Ma questa lettera fu per dar sodisfazzione e non produr effetti; perché il cardinal Morone, che era capo de' legati, aveva le instruzzioni a parte per dar regola anco agl'ordini che fossero andati da Roma.
      A don Luigi rispose in particolare il pontefice che aveva aperto il concilio sotto la promessa fattagli da Sua Maestà che n'averebbe avuto la protezzione e che sarebbe conservata l'autorità della Sede apostolica, e si trovava ingannato, perché da' prelati suoi riceveva maggior incontri che da tutti gl'altri; li quali per la concessione del sussidio s'erano inimicati insieme con tutto 'l clero di Spagna.


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Istoria del Concilio Tridentino
di Paolo Sarpi
pagine 1561

   





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