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      Riprese ancora l'accordo fatto dal re ultimamente con gl'ugonotti, e poi, uscito di parlar di Francia, disse che la corte romana era il fonte donde derivava l'acqua d'ogni abuso; che nissun cardinale era senza vescovato, anzi senza piú vescovati, e nondimeno quei carichi esser incompatibili. Che le invenzioni delle commende, delle unioni a vita, delle amministrazioni, medianti quali, contra ogni legge, erano dati piú beneficii ad una persona sola in fatti, con apparenza che ne avesse uno, era un ridersi della Maestà divina. Allegò spesse volte quel luogo di san Paolo dove dice: "Guardatevi dagl'errori, perché Dio non si può burlare, né l'uomo raccoglierà altro se non quello che averà seminato". S'estese contra le dispense, come quelle che levavano il vigore a tutte le leggi. E parlò con tanta eloquenza e sopra tanti abusi, che occupò tutta la congregazione. Non fu ben interpretato il parlar del cardinale da' ponteficii, anzi Simoneta pratticò apertamente diversi prelati, accioché s'opponessero al voto suo, et andava dicendo che egli parlava come li luterani, e piacesse a Dio che non sentisse ancora con loro; cosa che offese molto Lorena, il quale se ne dolse anco col pontefice. Nelle congregazioni seguenti non fu detta cosa se non ordinaria, né degna di memoria, chi non volesse riferire le adulazioni che obliquamente erano inserite ne' voti da quelli che avevano preso carico di giustificare le usanze da Lorena riprese.
     
     
      [Morone è spedito da Cesare, indotto a lasciar chiudere il concilio]


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Istoria del Concilio Tridentino
di Paolo Sarpi
pagine 1561

   





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