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      Seguirono approvando concordamente gl'altri decreti, secondo che letti erano; se non che Granata fece instanza che fosse decchiarata la residenza de iure divino con parole aperte, poiché - diceva egli - le parole ambigue del proemio erano indegne d'un concilio, il qual sia congregato per levare, non per accrescer le difficoltà, e che fossero proibiti li libri che ne parlavano in contrario, e che nel decreto fossero espressamente e nominatamente compresi li cardinali. Quest'ultima instanza toccante li cardinali si vedeva che a molti aggradiva; onde dal cardinal Morone fu risposto che s'averebbe avuto considerazione sopra, per parlar un'altra volta. Del rimanente si passò inanzi, et in fine il patriarca e li doi arcivescovi assentirono essi ancora al decreto, e questo fu il principio che fece aver speranza che si potesse celebrar la sessione al suo tempo, cosa stimata per inanzi impossibile, ma per desterità del cardinal di Lorena ridotta a buon porto.
      Ne' giorni seguenti si diedero li voti sopra gl'altri capi di riforma da' padri, da' quali non fu proposta altra variazione di momento, se non che per grand'instanza di Pompeio Zambeccari, vescovo di Sulmona, fu levata dal capo della prima tonsura una particola, dove si diceva che, se li promossi commetteranno delitto fra sei mesi dopo l'ordinazione, si presumino ordinati in fraude e non godino il privilegio del foro; e dove si decreta che nissun sia ordinato senza esser ascritto a chiesa particolare, era aggionta l'innovazione de' decreti del concilio lateranense, che anco gl'ordinati a titolo di patrimonio dovessero esser applicati al servizio di qualche chiesa, nel quale attualmente s'essercitassero, altrimenti non potessero esser partecipi de' privilegii, la qual parimente fu levata e nel rimanente, con leggier variazione di parole poco spettanti alla sostanza, fu data sodisfazzione a tutti li padri.


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Istoria del Concilio Tridentino
di Paolo Sarpi
pagine 1561

   





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