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      S'affaticò con grand'efficacia a mostrare che era accidente successo contra suo voler, il qual indubitatamente sarebbe stato divertito da lui, se si fosse trovato in Trento; che quella instruzzione mandata agl'ambasciatori era reliquia de' consegli presi vivendo ancora il re di Navarra e l'essecuzione procurata da' dependenti di quella fazzione, tra' quali il presidente Ferriero era uno; che quella fazzione, quantonque professasse la religione catolica in esterno, aveva però stretta intelligenzia con gl'ugonotti, li quali vorrebbono qualche dissoluzione del concilio, senza fine quieto, acciò che non si venisse ad anatematizargli; non però esser senza colpa ancora quelli che guidano li negozii in Trento, atteso che, inanzi la partita sua da quella città, le cose intorno quella materia erano accommodate in buon termine, avendo li legati promesso due cose con che gl'ambasciatori erano restati quieti: l'una, che non si sarebbe parlato de' re e prencipi supremi, ma solamente de certi signorotti, li quali non concedono a' vescovi nissun essercizio della giurisdizzione ecclesiastica; l'altra, che sarebbono eccettuate tutte le cose dependenti da grazie fatte dal papa, come indulti, privilegii e concessioni di quella Santa Sede; e con tutto ciò dopo la sua partita avevano dato a' padri la prima formula con le medesime cose che avevano promesso di levare. Certificava però che, tutto ciò non ostante, non sarebbe impedito il quieto fine del concilio, e promise che averebbe scritto al re e dolutosi delle cose fatte e procurato che gl'ambasciatori tornassero a Trento, il che sperava d'ottenere.


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Istoria del Concilio Tridentino
di Paolo Sarpi
pagine 1561

   





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