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      Li privati non l'intendono, e meno li Ministri di Christo, à quali egli hà prohibito severamente l'intromettersene; e se pur alcuno vuol passar oltre, non deve con propria autorità pensar di provedervi, mà significarlo à che s'aspetta far la provisione, senza che è par troppo chiaro, che li desiderosi di licenza, senza freno danno nome di Tirannide alla legitima potestà data dà Dio, ed è quella dottrina che si oppone ai loro tentativi; si che sotto pretesto di Religione, vogliono doventar arbitri d'ogni governo. L'istesso si deve dire dei libri, che contengono facezie, o moti mordaci, che direttamente, ed obliquamente offendono alcuno: e se insegnano cattivi costumi, lascivie, e crapole, che offendono la publica honestà, nissuno di questi eccessi è heresia, che deva appartenere all'Inquisizione. L'Inquisitore è fatto giudice della fede, non censore dei costumi. Dalla dottrina di San Paolo, la quiete publica, e l'honestà sono date in guardia alla potestà secolare. Non deve l'Inquisizione metter la falce nella messe d'altri. Questa conclusione non hà bisogno di futilità per esser intesa, dà se medesima è piana, e facile. All'istesso tocca giudicare, e punire l'opere, le parole, e la scrittura d'una materia medesima. Nissun può metter in dubio, che l'offendere la fama, il favorir la tirannide, e la dishonestà, cosi in fatti, com'in parole, non siano delitti soggetti al giudizio secolare. Dunque li commessi ancor in scrittura, apparterranno all'istesso. Con che raggione può pretendere di censurar i libri per alcuna delle cause sudette quello, che


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Discorso dell'origine forma leggi ed uso dell'Ufficio dell'Inquisizione di Venezia
di Paolo Sarpi
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