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      La regola da osservarsi in tali giorni è così enunciata nei calendari rituali, e così tradotta dal prof. Zimmern: "Il pastore dei grandi popoli (cioè il re) non mangerà carne arrostita, nè pane preparato col sale; non cambierà le vestimenta del suo corpo, e non indosserà un abito bianco, nè potrà far sacrifizi. Non monterà sul suo carro, e non pronunzierà alcun decreto. Il profeta non darà oracoli; il medico non porrà la mano sul malato. Non è tempo opportuno per esorcismi".
      Le stesse regole valevano per il giorno 19° di ogni mese, il quale era considerato come il 49° a partire dal novilunio del mese antecedente, ed aveva pertanto anch'esso una relazione col mistico numero 7. Questo giorno 19 era considerato come specialmente disgraziato, e non soltanto pel re, pei sacerdoti e pei medici, ma per tutti in generale. Per evitare il numero 19 di cattivo augurio, nei contratti e negli atti civili fatti in quel giorno la data del 19 si soleva scrivere 20 meno l. Vi eran però anche allora gli esprits forts, che non si lasciavano spaventare dal 19° giorno, e ne scrivevano francamente la data nei loro atti; precisamente come avviene per molti di noi, che non hanno paura del numero 13.
      All'epoca della distruzione di Ninive, e probabilmente già molto prima, si trova presso i Babilonesi e presso gli Assiri stabilita la divisione del giorno. Gli Egiziani ed i Greci usarono dividere in dodici ore la durata del giorno naturale fra la levata ed il tramonto; la lunghezza di queste ore era variabile secondo le stagioni.


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Scritti sulla storia della astronomia antica
Tomo I
di Giovanni Virginio Schiaparelli
pagine 604

   





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