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      Tale fu l'opinione di Alberto Schultens, del P. Duhamel, di Monsignor Martini, e ultimamente ancora di Ernesto Renan, nelle loro traduzioni e note al libro di Giobbe. Certamente essi furono indotti a pensar così dal fatto, che nella parola cheder è inclusa in qualche modo l'idea di cose nascoste. Ma perchè lo scrittore, il quale probabilmente nulla aveva udito del polo antartico e delle sue stelle, avrebbe fatto allusione a meraviglie invisibili di cui il lettore non aveva idea, mentre proprio là, nelle ultime regioni visibili del cielo australe, esistevano le più brillanti costellazioni del firmamento, anche oggi ammirevoli agli occhi di quelli che hanno la fortuna di poterle osservare? E l'ultima zona di cielo meridionale, che ancora era visibile sotto il parallelo della Palestina, la più prossima al punto sud dell'orizzonte in questa regione, non poteva anch'essa convenientemente rappresentare gl'interiora Austri, senza proprio andare fino ai polo antartico?
      VI.
      Siamo giunti al punto, in cui l'Astronomia può utilmente prender parte a questa discussione. Ammettendo come provato o almeno come probabile, che l'autore del libro di Giobbe abbia voluto indicare qualche splendido asterismo del cielo australe, dobbiamo credere che fosse visibile sull'orizzonte australe della Palestina, o nascosto entro al circolo di occultazione perpetua? E più ancora: abbiamo il modo di definire qual fosse questo asterismo?
      Cercheremo prima se qualche risultato soddisfacente si può ottenere assumendo per ipotesi che si tratti di stelle visibili sull'orizzonte della Palestina.


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Scritti sulla storia della astronomia antica
Tomo I
di Giovanni Virginio Schiaparelli
pagine 604

   





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