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      Quali fossero sugli intervalli celesti le idee dello stesso Platone, č difficile dire con esattezza; perchč quel tratto del Timeo dove si parla della creazione del mondo e della distribuzione della sua anima per intervalli armonici č talmente oscuro, che presso gli antichi passava in proverbio462. Macrobio, nel suo Commentario al sogno di Scipione463, dā la seguente interpretazione, ch'egli attribuisce a Porfirio. Dopo di aver accennato ad una disposizione delle sfere celesti immaginata da Archimede (disposizione che a noi č perfettamente ignota), dice che essa non fu adottata dai Platonici, come quella che non procedeva per intervalli doppi e tripli dell'unitā. Aver in conseguenza i Platonici supposto che la distanza del Sole sia doppia di quella della Luna; quella di Venere, tripla di quella del Sole; quella di Mercurio, quadrupla di quella di Venere; quella di Marte, nove volte quella di Mercurio: la distanza di Giove, otto volte quella di Marte, e la distanza di Saturno, 27 volte quella di Giove; tutte queste distanze essendo contate dalla Terra. Si vede che le proporzioni di queste serie 1, 2, 3, 4, 9, 8, 27, ossia 1: 21, 3l: 22, 32: 23, 33, comprendono i tre primi numeri, i loro quadrati ed i loro cubi; nell'armonia questi intervalli di 1, 2, 3 producono gli accordi chiamati dai musici greci, diapente e diapason, che sono i nostri accordi di quinta e di ottava. In conseguenza, assumendo come unitā la distanza della Luna, si ha la seguente tavola degli intervalli planetari:


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Scritti sulla storia della astronomia antica
Tomo I
di Giovanni Virginio Schiaparelli
pagine 604

   





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