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      Plutarco nella 8a delle Questioni Platoniche (vedi Doc. XLVI) è il più chiaro di tutti: "Forse che si deve intendere la Terra non rimanersi ferma in un medesimo luogo, ma girarsi intorno, come poi mostrarono (?pede????sa?) Aristarco e Seleuco, il primo supponendolo soltanto (?p?t???µe???), il secondo anche affermandolo (?p??a???µe???)?" Per intendere questa distinzione giova richiamare alla mente il diverso ufficio, che nello studio della struttura del Cosmo gli antichi attribuivano alla fisica ed all'astronomia. Alla fisica, che presso di loro era un ramo della filosofia, davano l'incarico di spiegare le ultime ragioni dei fenomeni, e limitavano il dovere dell'astronomo all'ideare tali ipotesi geometriche, che valessero a render conto della parte esteriore dei fenomeni stessi. Assai opportunamente spiega questo punto il discorso di Posidonio, che abbiamo riferito nella nota (2), p. 235. Ora Aristarco era essenzialmente matematico ed astronomo; come tale avrà creduto necessario presentare la sua costruzione come una semplice ipotesi, come più tardi Tolomeo presentò come una semplice ipotesi i suoi epicicli; ed avrà lasciato ai fisici il decidere "quali cose nel mondo sono in moto e quali in quiete". Cosi pure, nella composizione delle sfere omocentriche gli astronomi Eudosso e Callippo introdussero per ciascun pianeta soltanto quel numero di sfere che era necessario a spiegare le apparenze: mentre Aristotele si credette obbligato, come fisico, a completare il loro sistema in modo da spiegare ancora, come i movimenti delle sfere dei vari corpi celesti potevano esser meccanicamente prodotti senza turbarsi gli uni cogli altri615.


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Scritti sulla storia della astronomia antica
Tomo I
di Giovanni Virginio Schiaparelli
pagine 604

   





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