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      Si dovea anche cercare di esperimentare ogni cosa possibile, prima d’introdurre nel cielo un elemento di asimmetria e d’arbitrio, qual è il moto eccentrico; senza parlare della naturale ripugnanza che si dovette da principio provare ad ammettere, che i corpi celesti potessero descrivere circoli intorno a centri puramente ideali e privi di ogni contrassegno sensibile.
      Eudosso immaginò dunque, press’a poco come avea fatto Platone prima di lui, che ogni corpo celeste fosse portato in circolo da una sfera girevole sopra due poli, e dotata di rotazione uniforme; suppose inoltre, che l’astro fosse attaccato ad un punto dell’equatore di questa sfera, in modo da descrivere, durante la rotazione, un circolo massimo, posto nel piano perpendicolare all’asse di rotazione della medesima. A render conto delle variazioni di celerità dei pianeti, del loro stare e retrogradare, e del loro deviare a destra ed a sinistra nel senso della latitudine, tale ipotesi non bastava, e convenne supporre che il pianeta fosse animato da più movimenti analoghi a quel primo, i quali sovrapponendosi producessero quel movimento unico, in apparenza irregolare, che appunto si osserva. Eudosso stabilì dunque, che i poli della sfera portante il pianeta non stessero immobili, ma fossero retti da una sfera più grande, concentrica alla prima, girante a sua volta con moto uniforme e con velocità sua propria intorno a due poli diversi dai primi. E siccome neppure con questa supposizione si riusciva a rappresentare le apparenze per nessuno dei sette astri erranti, Eudosso attaccò i poli della seconda sfera entro una terza, concentrica alle due prime e più grande di esse, alla quale attribuì pure altri poli, ed altra velocità sua propria.


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Scritti sulla storia della astronomia antica
Tomo II
di Giovanni Virginio Schiaparelli
pagine 438

   





Platone Eudosso