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      Queste imperfezioni non erano di gran momento nelle teorie di Saturno e di Giove, per i quali il moto in latitudine era impercettibile alle osservazioni di quel tempo. Già di qualche importanza potevan riguardarsi nelle ipotesi relative a Marte ed a Mercurio: ma più che altrove erano sensibili nel moto di Venere, che può raggiungere una latitudine di nove gradi. Con queste riflessioni credo d’aver esaurito quanto è possibile con qualche fondamento dimostrare o congetturare intorno alle teorie celesti d’Eudosso. Riassumendone i tratti essenziali, diremo: Che per il Sole e per la Luna queste ipotesi rendevano buon conto di tutti i fenomeni principali, salvo che dell’anomalia dipendente dall’eccentricità, la quale anomalia da Eudosso era ignorata, o almeno non riconosciuta. Per Giove e per Saturno, e in certa misura anche per Mercurio, davano esse una spiegazione generale abbastanza soddisfacente del movimento di longitudine, delle stazioni e delle retrogradazioni, e di altre fasi dipendenti dall’anomalia solare. Più manifesti erano i difetti della teoria in Venere, e grandissimi e apparentissimi in Marte; onde a correggere le ipotesi di questi due pianeti dovettero presto applicarsi i discepoli e successori di Eudosso. I limiti delle digressioni in latitudine risultavano dalle varie ippopede in assai buona proporzione colle digressioni realmente osservate, sebbene i periodi di queste digressioni e i loro luoghi nel ciclo fossero al tutto errati. Sommando però insieme ogni cosa, e tenendo conto anche dell’astronomia pratica di quei tempi, ogni discreto lettore non potrà ricusare di vedere in questo sistema un’invenzione ben degna d’essere ammirata dagli antichi ed anche dagli astronomi del nostro tempo, i quali non ignorano quanto sia talora difficile la scoperta della verità anche in problemi molto semplici.


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Scritti sulla storia della astronomia antica
Tomo II
di Giovanni Virginio Schiaparelli
pagine 438

   





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