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      Eppure è necessario che quei poli rimangano sul detto asse del movimento più esteriore, se vogliamo che la sfera girante intorno ad essi serbi la disposizione che ha quella delle stelle fisse. Ora, poichè le tre (ultime) sfere che portano l’astro di Crono, girano insieme connesse, e connesse colla prima, avendo ciascuna una velocità sua propria: certamente il moto della quarta non sarà semplice, ma composto con quelli di tutte le sfere superiori. Mostreremo infatti, che quando più sfere si rivolgono in sensi fra loro contrari, si perde una parte delle velocità appartenenti alle loro rotazioni; quando invece i movimenti cospirano, alla celerità propria di ciascuna (delle inferiori) si aggiunge altro movimento comunicato dalle superiori. Se quindi all’ultima sfera, a cui è fissato l’astro di Crono, si connetta immediatamente la prima di Giove, assegnandole la velocità che le conviene, affinchè nella conversione (diurna) del mondo compia anch’essa il suo giro nel medesimo verso; i movimenti delle sfere che stanno di sopra non le permetteranno di conservare questa sua velocità, ma vi sarà un’addizione; perchè si moveranno verso l’occaso e la sfera portata e quelle altre pel medesimo verso144. Lo stesso vale delle altre sfere successive; il movimento diventerà vieppiù composto, ed i loro poli usciranno dalla posizione loro conveniente. Ma, come abbiamo detto, è necessario che non avvenga nè l’una, nè l’altra di queste cose. Affinchè dunque ciò non avvenga, e non si produca così alcun disordine, immaginò (Aristotele) «le sfere reagenti, e restituenti sempre alla medesima posizione la prima sfera dell’astro immediatamente inferiore». Perchè tali appunto sono le sue parole, ed indicano ambo i motivi per cui egli quello sfere introdusse: cioè col dir «reagenti», la restituzione del movimento alla propria velocità: col dir «restituenti sempre alla stessa posizione la prima sfera dell’astro immediatamente inferiore», la stabilità dei poli nella conveniente posizione.


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Scritti sulla storia della astronomia antica
Tomo II
di Giovanni Virginio Schiaparelli
pagine 438

   





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