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      I. Giulio Igino nel suo Poeticon Astronomicon, destinamitologia delle costellazioni277, narra la pietosa storia d’Icario (o Icaro, da non confondersi coll’altro Icaro, notissimo figlio di Dedalo) ateniese, ucciso per errore da certi pastori, e della sua figlia Erigone che per dolore s’appicc? volontariamente, e della loro cagna Mera (?????); aggiunge poi, che tutti da Giove furon cangiati in asterismi; ... itaque complures Icarum Bootem, Erigonem Virginem nominaverunt... canem autem sua appellatione et specie caniculam dixerunt; quae a Graecis, quod ante majorem Canem oritur, Procyon appellatur.
      La leggenda d’Erigone era popolare presso gli Ateniesi, ed aveva dato origine ad alcune pratiche religiose destinate a commemorarla: ci? che suppone una certa antichità d’origine. Soltanto tardi per? essa fu consacrata in cielo al modo indicato da Igino. Arato infatti, parlando di Boote non fa menzione d’Icario, e la Vergine zodiacale considera come la rappresentazione non di Erigone ma di Astrea, Dea della giustizia. associata ad alcun asterismo; se ne sbriga con un solo verso, dicendo che brilla sotto i Gemelli278. Io sono tentato di credere, che l’apoteosi di Erigono sia dovuta ad Eratostene, con Procione poi è da lui considerato come una stella isolata, non temporaneo di Arato; il quale nel suo poema intitolato Hermes diffusamente tratt? delle favole attinenti alle costellazioni; ed in altro poemetto speciale intitolato appunto Erigone tratt? la leggenda di cui ci stiamo occupando279. Comunque sia di questo, è certo che già sulla sfera celeste d’Ipparco Procione rappresentava non soltanto la stella ancora da noi cos? chiamata, ma anche la piccola costellazione, cui essa appartiene280. Cos? pure sulle sfere celesti dei Romani ai tempi d’Augusto la cagnetta d’Erigone stava disegnata sotto la figura d’un piccolo cane, o piuttosto d’una piccola cagna, comprendente Procione con alcune stelle vicine; indi il nome di Canicula dato cos? alla stella, come all’asterismo.


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Scritti sulla storia della astronomia antica
Tomo II
di Giovanni Virginio Schiaparelli
pagine 438

   





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