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      E che il pubblico apprezzasse molto il valore delle predizioni ed avesse nelle medesime grande confidenza è attestato dal numero considerevole di parapegmi di cui si è conservata memoria. Quello di Metone fu ricevuto con plauso generale, e la fama se ne conservò lungo tempo non solo presso i Greci, ma anche presso i Romani. Scrive Diodoro Siculo: «Quest’uomo (Metone) sembra essere stato molto fortunato nell’annunziare i fenomeni delle stelle; esse infatti si muovono proprio secondo le sue indicazioni, e producono le variazioni di tempo da lui annunziate. Perciò fino ai nostri giorni quasi tutti i Greci si valgono del ciclo di 19 anni e non si sbagliano punto». Sembra tuttavia che l’introduzione del nuovo computo non si facesse in Atene senza qualche difficoltà, in mezzo ai trambusti politici della guerra del Peloponneso. Aristofane, che non dubitò di esporre in iscena alle pubbliche risa un uomo come Socrate, ha posto in burletta anche l’invenzione di Metone, senza però nominarne l’autore. Nove anni dopo la sua pubblicazione, fu data la prima rappresentazione delle Nuvole; nelle quali il poeta introduce la Luna a lamentarsi, che gli Ateniesi non sanno più ordinare a dovere il corso dei mesi; gli Dei immortali, disorientati col nuovo orario dei pubblici sacrifizi, sono talvolta costretti a tornare a casa senza cena. Ecco in qual modo Augusto Franchetti ha reso in italiano questo lepido pezzo, che termina la parte prima della commedia. Parlan le nuvole:
      LA LUNA, MENTRE A VENIR CI APPRESTAVAMO,


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Scritti sulla storia della astronomia antica
Tomo II
di Giovanni Virginio Schiaparelli
pagine 438

   





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