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      Quanto al circolo artico, presso Igino e presso tutti gli antichi scrittori d’astronomia esso non significa quello che i nostri geografi chiamano il circolo polare artico, che è lontano dal polo 23°½ ed ha qualche significato in terra, ma nessuno in cielo. I Greci chiamavano circolo artico quello dei paralleli boreali che tocca l’orizzonte nel punto nord e che noi adesso chiamiamo limite di apparizione perpetua, perchè include dentro di se. col polo visibile, tutte le stelle circumpolari che non tramontano mai, e sarebbero perpetuamente visibili se non fosse dell’illuminazione solare del giorno. La distanza dei punti di questo circolo dal polo (che ne forma il centro) è varia nei vari luoghi, ed è uguale alla latitudine di ciascun luogo. Però fu universale uso dei Greci di dare importanza speciale a quel circolo artico che corrisponde alla latitudine di Rodi e di Cnido, la cui distanza dal polo (determinata, credo, da Eudosso) si riteneva da loro essere di 36° o un decimo dell’intiera circonferenza. E si vede che Igino in questo ha copiato bene le sue fonti. Su tutta la materia del circolo artico potrà vedere le più ampie e soddisfacenti dichiarazioni presso Gemino {Uranologion, pp. 14, 19, 51), presso Achille Tazio (ibid. pp. 150, 168), presso Pseudo-Eratostene {ibid. pp. 260, 265, 266).
      Tutta questa parte (e chi sa quante altre) presso Igino mi pare sia niente più che una cattiva traduzione dal greco: quindi i numerosi termini impropri, dei quali dimensio invece di diameter è uno.


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Scritti sulla storia della astronomia antica
Tomo III
di Giovanni Virginio Schiaparelli
pagine 336

   





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