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      Ecco quanto non può esser tolto «ton ef emìn»; il resto è «ton oùk ef emìn».
      Quando invece l’ammirazione stessa è l’oggetto principale, si è il soggetto che non ne è degno. Tale infatti è il caso della falsa gloria, vale a dire della gloria non meritata. Chi la possede deve contentarsene per ogni suo pasto, poichè ei non ha quelle qualità di cui questa gloria non dovrebbe esser che il sintomo, il semplice riflesso. Ma tal gloria gli verrà molto di sovente a noia: giunge finalmente il momento in cui a dispetto dell’illusione sul proprio conto che la vanità gli procura, ei sarà preso dalle vertigini su quelle altezze per cui non è fatto, od anche si risveglierà in lui un vago sospetto di non essere che di bronzo dorato; allora è preso dal timore di essere conosciuto ed umiliato come lo merita, sopratutto quando già può legger sulla fronte dei saggi il giudizio dei posteri. Ei rassomiglia ad un uomo che possede una eredità in virtù d’un testamento falso.
      Il rimbombo della gloria vera, di quella gloria che vivrà a traverso i tempi che verranno, non arriva mai alle orecchie di chi ne è l’oggetto, e nondimeno lo si vede felice. Egli è che sono le facoltà eminenti a cui deve la gloria, l’agio di poterle svolgere, cioè di agire in conformità della propria natura, il poter occuparsi degli oggetti che ama o che lo dilettano, egli è tutto ciò che lo rende felice; e solo in tali condizioni sono create le opere che condurranno alla gloria. Si è dunque la sua anima grande, si è la ricchezza della sua intelligenza, l’impronta della quale nelle sue opere costringerà all’ammirazione le età future, sono queste cose che formano la base della sua felicità; vi si aggiungono ancora i suoi pensieri la cui meditazione sarà soggetto di studio e sorgente di delizia ai più nobili spiriti attraverso secoli innumerevoli.


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Aforismi sulla saggezza nella vita
di Arthur Shopenhauer
Editore Dumolard Milano
1885 pagine 282