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      Il bambino strilla dalla paura e si lamenta non appena è lasciato solo, fosse pure per qualche momento. Per i fanciulli il dover starsene soli è un severo castigo. I giovani si uniscono volentieri fra loro; non v’hanno che quelli dotati d’una natura più nobile e d’uno spirito più elevato che cercano già qualche volta la solitudine; nondimeno passar soli tutta la giornata è loro ancora difficile. Per l’uomo fatto la cosa è facile; ei può rimanere a lungo isolato, e tanto più a lungo quanto più progredisce nella vita. Al vecchio poi, unico sopravvivente delle generazioni sparite, morto da una parte alle gioje della vita, e dall’altra ormai al di sopra di esse, la solitudine è il vero suo elemento. Ma, in ogni individuo considerato separatamente, i progressi dell’inclinazione al ritiro ed all’isolamento saranno sempre in ragione diretta del valore intellettuale. Perocchè, come già dicemmo, non è questa un’inclinazione puramente naturale, provocata in modo diretto dalla necessità, è piuttosto solamente l’effetto dell’esperienza acquistata e meditata; vi si arriva soprattutto dopo essersi bene convinti della miserabile condizione morale ed intellettuale della maggior parte degli uomini, e ciò che v’ha di peggio in tale condizione si è che le imperfezioni morali dell’individuo cospirano colle imperfezioni intellettuali e si ajutano a vicenda; si producono allora i fenomeni più schifosi che rendono ripugnante, e fors’anco insopportabile, il commercio colla grande maggioranza degli uomini.


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Aforismi sulla saggezza nella vita
di Arthur Shopenhauer
Editore Dumolard Milano
1885 pagine 282