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      Perocchè, nati per guidare gli altri uomini sull’Oceano dei loro errori verso la verità, per trarli dall’abisso della loro rozzezza e della loro volgarità, per innalzarli verso la luce della civilizzazione e del progresso, essi devono, è vero, vivere in mezzo a gente siffatta, ma senza però appartenerle realmente; si sentono quindi fino dalla giovinezza creature sensibilmente differenti; ma in questo riguardo la convinzione ben chiara non giunge loro che insensibilmente a misura che vanno avanti cogli anni; allora hanno cura di aggiungere la distanza fisica alla distanza intellettuale che li separa dal resto degli uomini, e vegliano perchè nessuno, a meno che non sia più o meno affrancato dalla volgarità generale, li accosti troppo da vicino.
      Da tutto ciò si deduce che l’amore della solitudine non apparisce direttamente ed allo stato d’istinto primitivo, ma che si sviluppa indirettamente e progressivamente specie negli spiriti eminenti, non senza dover vincere l’inclinazione naturale alla socialità, ed anche combattere all’occasione qualche suggerimento mefistofelico: «Cessa dal giocare col tuo cordoglio che, pari ad un avoltojo, ti rode la vita: la più vile compagnia ti fa sentire che sei uomo con gli uomini.»
      La solitudine è il retaggio delle menti superiori; qualche volta succederà loro che se ne rammarichino, ma la sceglieranno sempre come il minore dei mali. Col progresso dell’età nondimeno il sapere aude doventa in questo riguardo sempre più facile ed omogeneo; verso la sessantena l’inclinazione alla solitudine arriva ad essere affatto naturale, e quasi istintiva.


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Aforismi sulla saggezza nella vita
di Arthur Shopenhauer
Editore Dumolard Milano
1885 pagine 282

   





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