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      Sugli oggetti reali invece, sulle rappresentazioni intuitive, il principio di ragione non domina come principio di ragione della conoscenza, ma del divenire, come legge di causalità: ciascuno di quegli oggetti gli ha già pagato il suo debito pel fatto che è divenuto, ossia è stato prodotto come effetto da una causa: la pretesa d'un principio di conoscenza non ha dunque qui nessun valore e nessun senso, bensì appartiene a tutt'altra classe di oggetti. Perciò il mondo dell'intuizione non suscita, finché si rimane nei suoi confini, né scrupolo né dubbio in chi l'osserva: qui non v'ha né errore né verità; che sono confinati nel dominio dell'astratto, della riflessione. Qui invece sta il mondo aperto ai sensi ed all'intelletto, dandosi con ingenua verità per ciò che è, per una rappresentazione intuitiva che legittimamente si svolge sul filo della causalità.
      Il problema della realtà del mondo esterno, come l'abbiamo considerato finora, era sempre generato da uno smarrimento della ragione che andava fino a misconoscere se stessa, e sotto questo rispetto il problema era da risolvere con la semplice dilucidazione del suo contenuto. Dopo investigata tutta l'essenza del principio di ragione, la relazione fra oggetto e soggetto e la vera natura dell'intuizione sensitiva, esso doveva cadere da sé, appunto perché non gli rimaneva più alcun significato. Ma il problema ha ancora un'altra origine, affatto diversa da quella, tutta speculativa, indicata finora: un'origine propriamente empirica, sebbene essa anche in questa forma sia ancor sempre messa in campo con intendimenti speculativi.


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Il mondo come volontà e rappresentazione
Tomo I
di Arthur Schopenhauer
pagine 254