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      Sarebbe quindi assurdo pretender che venissero provati con l'esperienza, in quanto s'intende per esperienza il mondo reale esterno, che è appunto rappresentazione intuitiva; o che fossero portati davanti agli occhi, o davanti alla fantasia, come oggetti d'intuizione. Essi si lasciano esclusivamente pensare, non intuire; e soltanto gli effetti che per mezzo di quelli l'uomo produce, sono materia di vera e propria esperienza. Tali sono la lingua, l'azione metodica e meditata, e la scienza; e dipoi tutto quanto nasce da queste. Evidentemente il discorso, come oggetto dell'esperienza interna, non è altro che un telegrafo molto perfezionato, il quale comunica segni convenzionali con rapidità massima e delicatissima precisione. Ma che cosa significano questi segni? Come vengono decifrati? Forse che noi, mentre un altro parla, traduciamo immediatamente il suo discorso in immagini della fantasia, le quali con la rapidità del lampo ci trasvolano innanzi e si muovono, si concatenano, si trasformano e si colorano a seconda delle fluenti parole e delle loro flessioni grammaticali? Quale tumulto sarebbe allora nel nostro capo all'atto d'ascoltare un discorso o di leggere un libro! Ma non accade punto così. Il senso del discorso viene compreso immediatamente, afferrato con precisione e determinatezza, senza che di regola si confondano i fantasmi. È la ragione che parla alla ragione, mantenendosi nel proprio dominio; e ciò che essa comunica o riceve, sono concetti astratti, rappresentazioni non intuitive, le quali, formate una volta per sempre e relativamente scarse di numero, comprendono, contengono e rappresentano nondimeno tutti gli innumerevoli oggetti del mondo reale.


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Il mondo come volontà e rappresentazione
Tomo I
di Arthur Schopenhauer
pagine 254