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      Solo con ciò si spiega che non mai un animale può parlare o comprendere, sebbene abbia comuni con noi gli strumenti del linguaggio ed anche le rappresentazioni intuitive; appunto perché le parole esprimono quella classe affatto speciale di rappresentazioni, di cui è correlato soggettivo la ragione, esse sono per l'animale prive di valore e di significato. Pertanto il linguaggio, come ogni altro fenomeno che noi ascriviamo alla ragione, e come tutto ciò che distingue l'uomo dall'animale, va spiegato mediante quest'una e semplice origine: i concetti – le rappresentazioni astratte, non intuitive; universali, non individuate nel tempo e nello spazio. Solo in alcuni casi passiamo dai concetti alla rappresentazione, formandoci fantasmi che sono intuitivi rappresentanti di concetti, ai quali tuttavia non sono mai adeguati. Questi sono stati particolarmente illustrati nella memoria sul principio della ragione, § 28, né voglio quindi ripetermi ora. Con ciò che è detto colà va confrontato quanto scrive Hume nel dodicesimo dei suoi Philosophical Essays, p. 244, e Herder nella Metacritica (libro d'altronde cattivo), Parte I, p. 274. L'idea platonica, che diventa possibile mediante l'unione di fantasia e ragione, forma l'argomento principale del terzo libro dell'opera presente.
      Ora, per quanto i concetti siano adunque fondamentalmente diversi dalle rappresentazioni intuitive, stanno tuttavia in un necessario rapporto con queste, senza di cui non esisterebbero; il qual rapporto costituisce quindi tutta la loro essenza ed esistenza.


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Il mondo come volontà e rappresentazione
Tomo I
di Arthur Schopenhauer
pagine 254

   





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