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      Ma intanto ogni dolore proviene dal dileguarsi di codesto vaneggiamento. Questo e quello derivano adunque da manchevole conoscenza. Perciò dal saggio rimangono gioia e dolore sempre lontani e nessun evento scuote la sua ????????.
      Conformemente a tale spirito ed a tal mira della Stoa, Epitteto parte dal principio – e vi torna sopra continuamente, come al nocciolo della sua sapienza – che occorra ben meditare e distinguere ciò che dipende e ciò che non dipende da noi, e non contare mai su quest'ultimo. In questo modo si può fiduciosamente tenersi liberi da ogni dolore, sofferenza ed angoscia. Ciò che dipende da noi, è solamente la volontà; e qui si viene a fare un graduale passaggio alla dottrina della virtù, mentre si osserva che, come il mondo esterno da noi indipendente determina gioia e dolore, così dalla volontà nasce interna soddisfazione o insoddisfazione di noi stessi. In seguito poi si domandò, se nel primo o nel secondo caso si convenissero i nomi di bene e di male. Questo era invero un problema arbitrario, da risolversi a piacere e non mutava nulla alla cosa. Eppure su di esso contesero incessantemente Stoici con Peripatetici ed Epicurei, si baloccarono con l'impossibile paragone di due quantità affatto incommensurabili e con le opposte, paradossali sentenze che ne derivavano, scagliandosele vicendevolmente addosso. Un'interessante raccolta, dal punto di vista stoico, ce n'è tramandata nei Paradoxa di Cicerone.
      Zenone, il fondatore, sembra aver seguito in origine un cammino alquanto diverso.


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Il mondo come volontà e rappresentazione
Tomo I
di Arthur Schopenhauer
pagine 254

   





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