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      Si vede subito, che questo, a cui miriamo, è alcunché di sostanzialmente diverso dalla rappresentazione, e che devono essergli del tutto estranee le forme e le leggi di questa: sì che, partendo dalla rappresentazione, non si può giungere ad esso seguendo il filo di quelle leggi, le quali collegano soltanto fra loro oggetti, rappresentazioni; leggi che sono poi le forme del principio di ragione.
      Vediamo già a questo punto, che all'essenza delle cose non si potrà mai pervenire dal di fuori: per quanto s'indaghi, non si trova mai altro che immagini e nomi. Si fa come qualcuno, che giri attorno ad un castello, cercando invano l'ingresso, e ne schizzi frattanto le facciate. Eppur questa è la via tenuta da tutti i filosofi prima di me.
      § 18.
      In verità, il senso tanto cercato di questo mondo, che mi sta davanti come mia rappresentazione – oppure il passaggio da esso, in quanto pura rappresentazione del soggetto conoscente, a quel che ancora può essere oltre di ciò – non si potrebbe assolutamente mai raggiungere, se l'indagatore medesimo non fosse nient'altro che il puro soggetto conoscente (alata testa d'angelo senza corpo). Ma egli ha in quel mondo le proprie radici, vi si trova come individuo: ossia il suo conoscere, che è condizione dell'esistenza del mondo intero in quanto rappresentazione, avviene in tutto e per tutto mediante un corpo; le cui affezioni, come s'è mostrato, sono per l'intelletto il punto di partenza dell'intuizione di quel mondo. Codesto corpo è per il puro soggetto conoscente, in quanto tale, una rappresentazione come tutte le altre, un oggetto fra oggetti: i suoi movimenti, le sue azioni non sono da lui, sotto questo rispetto, conosciute altrimenti che le modificazioni di tutti gli altri oggetti intuitivi; e gli sarebbero egualmente estranee ed incomprensibili, se il loro senso non gli fosse per avventura svelato in qualche modo affatto diverso.


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Il mondo come volontà e rappresentazione
Tomo I
di Arthur Schopenhauer
pagine 254